“La cura dello sguardo” non è il primo libro di Franco Arminio che ho letto. Il primo che mi è capitato per caso tra le mani in occasione di un esame universitario è stato “Resteranno i canti” e da subito le sue poesie hanno conquistato il mio cuore. Il modo di fare poesia di questo autore è innovativo, profondo, delicato come petali di fiori di ciliegio che cadono sull’asfalto in primavera; l’asfalto del silenzio che viene risvegliato dalle parole e dalla gentilezza dei suoi versi.
Scheda Tecnica

- Titolo: La cura dello sguardo
- Sottotitolo: Nuova Farmacia poetica
- Autore: Franco Arminio
- Editore: Bompiani
- Data pubblicazione: 22 luglio 2020
- Genere: Saggio
- Copertina flessibile: 210 pagine
- Cartaceo: 15,20 euro
- Ebook: 9,99 euro
Trama
Percorrendo l’Italia palmo a palmo, nella sua paziente auscultazione del mondo, già da tempo Franco Arminio registrava una epidemia in corso: quella dell’“autismo corale”, che ci vede rinchiusi dietro i nostri piccoli schermi, impegnati in una comunicazione che ha perso ardore e vitalità. In queste pagine il poeta torna a offrirci le sue parole come fiaccole per illuminare il presente, offrendo il suo stesso corpo come testimonianza, come repertorio di tentativi e rimedi: “Ho vanamente cercato la guarigione scrivendo. La ferita è ancora qui. Con il tempo mi sono cresciuti dentro consigli che posso dare, piccoli precetti fatti in casa.” Le pagine di questo nuovo libro di Arminio sono fitte come gli scaffali di un antico speziale, allineano racconti visionari accanto a vere e proprie orazioni civili, che pongono domande e chiedono risposte con vibrante ostinazione. La cura invocata passa sempre attraverso una lingua che si fa strumento di conoscenza, alla ricerca di una comunicazione, di un senso condiviso, di quella intima vicinanza della quale abbiamo tutti più che mai bisogno. E se non ci sono certezze, se tutti siamo un po’ più fragili, a curarci sopraggiunge la fiducia nella capacità delle parole di unire i nostri sguardi “per fare comunità, per dare coraggio al bene”.
Recensione
Franco Arminio è un filosofo vestito da poeta, o forse un poeta con la mente da filosofo. Ciò che scrive innesca riflessioni, porta in profondità, conquista l’anima e dedica sussurri alla parte più dimenticata di noi.
I componimenti contenuti ne “La cura dello sguardo” hanno uno stile simile alla prosa, una prosa poetica, sottile, che come un vento che arriva a scuotere le coscienze e, soprattutto, i sentimenti di coloro che accarezza, ripulisce dalle scorie e permette la costruzione di nuovi pensieri consapevoli sull’amore, il suo ruolo di cura e sulla natura. Natura e uomo diventano un tutt’uno, gli alberi, i venti e le foglie divengono il vestito perfetto che il corpo del lettore è invitato ad indossare.
Arminio ha l’implicito obiettivo di scardinare le coscienze dalle convinzioni in cui han messo radici e portarle a germogliare nella vita che, per due lunghi anni, non abbiamo potuto vivere a pieno.
L’abbraccio e il contatto con un altro corpo è un tema centrale nelle sue poesie, tema che richiama quella mancanza che abbiamo vissuto intensamente. Un abbraccio non inteso come mera manifestazione di affetto, ma come attenzione, come medicina. L’amore, attraverso la meraviglia dei versi, si estende presentandosi come modalità attraverso cui guarire dalle nevrosi che incombono nella vita quotidiana, dalla paura sociale che, nel lungo periodo di pandemia, ha infestato le menti trasformandosi in “psicosi collettiva”. Per molto tempo siamo stati costretti a chiuderci in casa, ad avere contatti diretti ristretti con altre persone, a chiudere il cuore e a far ramificare i pensieri nel terreno fertile della paura.
Il suo libro, scritto proprio durante il periodo pandemico, è un invito a ricordare l’amore, a farne seme da coltivare, a cogliere nella libertà della natura, nei suoi profumi e nei suoi luoghi, ma anche nel contatto, negli sguardi e nell’espressione tenera dei sentimenti, il potenziale su cui basare la nostra personale rinascita.
Fatico ad esprimere a parole le emozioni che ho provato durante la lettura per l’intensità con cui ho vissuto quest’esperienza letteraria. Spesso ho sentito il bisogno di staccare gli occhi dalle pagine per qualche istante prima di riprendere, al fine di trasformare i versi appena assaporati in un rifugio di speranza e incanto, di amore e cura. Alcune poesie più di altre, hanno fermentato a lungo nei miei pensieri trasformandosi in riflessioni sull’amore, sul suo potere trasformativo di guarigione e sulla possibilità che tutti noi abbiamo, di curare le nostre ferite, quelle dei nostri simili e del pianeta in cui abitiamo, attraverso piccoli gesti quotidiani.
Per concludere, vi lascio qui di seguito alcuni estratti delle poesie che ho amato di più:
“L’AMORE. Ti chiedo di partorirmi una foglia, di farmi passare nel fiuto dei cani. Ti chiedo miracoli che non faremo, ma basta pensarli. Se il tempo passa è meglio che passi col cuore grande come il cielo. Noi siamo qui come farfalle in un’altura armena. […]”
“IL DOVERE DI ESSERE LIMPIDI. Il nitore è quello che ci serve adesso. Abbiamo il dovere di essere limpidi. Per schiarire il mondo dobbiamo portare il nostro chiarore, non accontentarci degli equivoci con cui costruiamo le nostre giornate. Dobbiamo chiedere ai nostri occhi di essere più spericolati, e così pure alle nostre orecchie. Possiamo sentire e possiamo vedere di più. [..]”
“VOLEVO SENTIRE. Non mi interessava sopravvivere, mi interessava tentare la vita, cercare sempre il massimo di intensità. Volevo sentire la scapola sepolta, l’affanno della formica, il respiro del moribondo. Volevo sentire nel mio corpo un altro corpo, volevo sentire il respiro del mondo, di tutto il mondo, non accontentarmi del rancio che passa la prigione in cui siamo reclusi.”