Recensione – Jane Eyre – Charlotte Brontë

Buongiorno lettori, oggi vi parlerò di un altro volume della collezione “Storie senza tempo” che, come già sapete, ci aveva promesso protagoniste orgogliose, donne fiere che non hanno paura di ribellarsi alle convenzioni, appassionate, coraggiose, intelligenti. Non fa eccezione Jane Eyre, personaggio principale dell’omonimo romanzo di Charlotte Brontë, le cui caratteristiche non solo si allineano agli ideali e al tema della raccolta – sempre concentrato sull’affermazione delle donne e sul loro bisogno di autonomia – ma fanno di questa protagonista ribelle una pioniera dell’emancipazione femminile e della libertà individuale. Rimarcando sull’importanza di possedere una rendita propria a cui Jane Eyre, nel suo desiderio d’indipendenza, non manca di aspirare, potremmo definirla un personaggio antesignano che anticipa e riflette le idee della scrittrice novecentesca Virginia Woolf, magnificamente esposte in “Una stanza tutta per sé”.

Infatti oltre ad essere un appassionante romanzo d’amore con al centro il romantico contrasto tra l’orfana cresciuta in un rigido orfanotrofio e il padrone della tenuta dove lavora come istitutrice, il capolavoro della Brontë fornisce una chiara rappresentazione dei luoghi e dei costumi di quel tempo, resi con una fedeltà e una maestria tale che è possibile analizzare – nel quadro sociale dove è definita, quasi sempre ai margini della cornice – la figura femminile che di tanto in tanto scalcia e si divincola dalla passiva idea che si ha di lei, per diventare soggetto principale d’interesse e ispirazione.   

“In genere si ritiene che le donne siano molto tranquille; ma loro provano gli stessi sentimenti degli uomini […] È da ottusi condannarle o deriderle, se cercano di andare oltre o di imparare di più di quanto l’usanza abbia decretato necessario per il loro sesso.”

Scheda Tecnica

  • Collezione: Storie senza tempo-audacemente classiche
  • Editore : RBA Italia
  • Titolo: Jane Eyre
  • Autore: Charlotte Brontë
  • Genere: Classici
  • Copertina rilegata: 310 pagine
  • Prezzo: 9.99

Trama

Pubblicato nel 1847 sotto pseudonimo, Jane Eyre è un romanzo di formazione, una storia di riscatto personale e sociale narrata dalla voce lucida della protagonista che si emancipa dalla terribile esperienza dell’orfanotrofio affrontando tutto ciò che la vita le offre con libertà intellettuale e determinazione. Jane diventa l’istitutrice della figlia del tenebroso Mr Rochester e trova in lui l’amore intenso e incondizionato che ha sempre sognato. Ma Rochester nasconde un segreto che rischia di separarli per sempre, e a Jane spetta l’arduo compito di scegliere se lottare o rinunciare alla felicità. Un ritratto femminile realistico e profondo che ha dato nuova linfa al romanzo vittoriano e che ha fatto conoscere Charlotte Brontë ai lettori di tutto il mondo.

Recensione

L’aspetto di maggior interessante è la protagonista femminile del libro che, per l’epoca della Brontë, appare piuttosto insolita. Jane è l’opposto della fanciulla ingenua e altruista che –  oltre a possedere la leggiadria di una fata e una bellezza eccezionale – non deve fare altro che sopportare, con affabilità e indulgenza, le vessazioni e le ingiustizie di chi le sta attorno per essere apprezzata dal generoso aristocratico che, sposandola, le restituisce la vita che merita come ricompensa della sua bontà d’animo; e che, in questo modo, non cessa di rimanere in uno stato di subordinazione dettato prima dalla povertà e dopo, avendo guadagnato la ricchezza per mezzo di lui, alle cure del suo amante e padrone. Ecco, Jane non è capace di conformarsi a questo schema, il personaggio indipendente della Brontë si scontra con l’opinione vigente nella società di fine Ottocento, dissociandosi dall’idea della donna “oggetto” che si può benissimo annoverare tra i beni materiali del marito, esposta all’ozio e all’inattività, per diventare artefice del proprio destino.  

Orfana di entrambi i genitori, Jane viene affidata alle cure delle sprezzante signora Reed, nonché sua zia, che permette ai figli di maltrattarla e umiliarla fino a farle vivere un’infanzia infelice, priva di un vero affetto che la faccia sentire amata. Fin da bambina essa si ribella agli abusi e – incapace di compiacere la propria zia che si riversa su di lei come una tiranna e perfino di suscitare una velata amorevolezza nel gruppo della servitù ostile, che pure si aspetta la sua completa sottomissione – si sforza di mantenere il proprio carattere tenace e dirompente, non evitando mai di dire ciò che pensa anche a discapito di nuove e violente aggressioni. Sempre poco gradita al resto della compagnia, si separa presto dall’ambiente familiare che nonostante la ricchezza e la comodità mai l’aveva fatta sentire a casa, per arrivare a Loowd, un rigido collegio dove passa i successivi otto anni, prima in qualità di allieva e dopo come insegnante. Al termine di un’infanzia e di un’adolescenza burrascosa, Jane trova nel serio orfanotrofio di Loowd un equilibrio e una tranquillità a cui il suo spirito irrequieto poco si adatta. Sempre combattuta dal desiderio d’indipendenza, e spinta dalla bramosità di conoscere il mondo, decide così di partire per una nuova esperienza. Questo ingente bisogno di cambiamento la conduce a Thornfield, dimora dove fa da istitutrice ad una bambina francese, pupilla dell’ardente e impetuoso signor Rochester. L’incontro tra l’umile bambinaia e il maturo padrone della tenuta sconvolge la narrazione e, con l’aggiunta dell’ingrediente romantico (che tutte noi aspettavamo), abbandona le corde dickensiane della prima parte del romanzo per avvicinarsi alle più grottesche sfumature della penna di Emily Brontë in uno scenario che pure ha del sublime e del macabro. Il rapporto tra Jane e il signor Rochester è senza ombra di dubbio complesso e tormentato ma, a differenza del romanzo della sorella Emily, l’amore che lega i due protagonisti non ha niente a che vedere con il senso di vendetta che pervade le pagine di Cime tempestose e che, insieme al personaggio che lo incarna, ne è protagonista indiscusso. A rendere più dolce questo sentimento sono le premure, la stima, il rispetto reciproco e la libertà d’azione che Jane mette in ogni rapporto che desidera nutrire e coltivare, soprattutto in quello con il signor Rochester che, come la più bella delle emozioni, accende di luce l’essenza della sua persona. In questo modo la figura di Jane si innalza, allontanandosi da quella di Hitchliff a cui l’avevamo paragonata: la sua fermezza di carattere e la sua morale religiosa la rendono incapace di piegarsi alla cattiveria e alla soverchieria – anche in risposta ad un trascorso di dolere, soprusi e umiliazioni –  e la natura passionale che anima la sua personalità trova sfogo nell’amore, forte e travolgente, che nemmeno il passato sfortunato del signor Rochester e gli oscuri segreti del castello possono spegnere.  

La tematica dell’amore ostacolato dalle differenze sociali e la critica alla mentalità dell’epoca si ripresentano a tormentare i protagonisti che, seppur divisi da inutili etichette, combaciano come pezzi di un puzzle. Le loro anime sono uguali, non possono essere vincolate da leggi convenzionali o terrene e i difetti fisici si annullano, non essendo più considerati come fattezze del loro aspetto corporeo ma tratti della personalità. La stessa Jane si considera bruttina e anche il soggetto del suo profondo amore, il signor Rochester, non corrisponde all’ideale estetico dell’epoca ma, consapevoli di ciò, i due non potrebbero essere più felici della loro scelta.

“Stavo dimenticando tutti i suoi difetti. Il sarcasmo e l’asprezza, che una volta mi avevano respinto e urtato, erano soltanto i condimenti piccanti di un piatto scelto, e che sarebbe diventato insipido senza di essi. E c’éra in lui qualcosa di misterioso… Qualcosa che si schiudeva, di tanto in tanto, agli occhi di un osservatore attento, e si richiudeva subito prima che si potesse andare in fondo; quel qualche cosa che mi faceva paura, come se avessi camminato su un terreno vulcanico, e all’improvviso avessi visto tremare il suolo e l’avessi visto aprirsi… Ma, invece di ritirarmi, desideravo continuare a risolvere il mistero.”

Insieme alla descrizione dei suoi personaggi, la Brontëci mostra i canoni di bellezza dell’Inghilterra vittoriana e, con essi, l’ipocrisia e l’eccessiva importanza rivolta alle apparenze anche a discapito di qualità interiori essenziali, spesso compensate dall’abbondanza del denaro e dall’appannaggio sociale. A rendere ancora più evidente il contrasto tra gli interessi economici, che si possono ricavare da un matrimonio ben combinato, e i sentimenti spontanei, che nascono senza alcun particolare incoraggiamento, è la presenza di altre donne nella vita del signor Rochester, alcune che egli rammenta nel passato altre che fanno ancora parte del presente. Senza essere dotata di notevole bellezza o fortuna economica, la protagonista fa breccia nel cuore del suo padrone che la preferisce a tutte ma che, per una qualche ragione, si allontana da lui. Ella gli sfugge per il motivo che non riesce a comprenderlo, la sua anima gentile e allo stesso tempo tormentata nasconde un segreto che Jane è ben decisa a scoprire. A insospettire e inorridire il lettore sono il senso di colpa del burbero padrone, le strane apparizioni e le aggressioni che hanno luogo nel cuore della notte, di cui lo stesso Rochester è spesso vittima. È proprio in seguito a questi eventi che il loro sogno d’amore rischia d’essere soffocato dalla follia di una mente deforme e soprattutto da segreti mal celati che minacciano l’integrità di Jane che, lesa nell’intimità della sua morale religiosa, rischia di essere ingannata e manipolata. Divisa tra la completa sottomissione e una ribelle forza interiore, tra la salda morale e l’irrefrenabile passione, è costretta a prendere una decisione: salvare i propri principi o cedere alla bramosia dei sentimenti.

“Posso vivere da sola, se il rispetto di me stessa e le circostanze me lo chiederanno. Non ho bisogno di vendere l’anima per comprare la felicità. Ho un tesoro interiore che mi manterrà viva anche se tutti i piaceri esterni mi saranno negati, offerti a un prezzo che non potrò accettare”

Jane Eyre è un romanzo straordinario di una donna determinata e un po’ sopra le righe che si prevale di prendere le proprie decisioni in autonomia, cosa rivoluzionaria per l’epoca. Una donna in anticipo sui tempi che lotta per riscattare la propria condizione, che non si accontenta nemmeno quando il ruolo di insegnate al collegio è già ben consolidato, e sceglie consapevolmente di ampliare i propri orizzonti. Direttamente rivolto al lettore e scritto in forma autobiografica con un registro linguistico alto e un ampio ventaglio di espressioni adoperate per esteriorizzare le sensazioni dei personaggi, e non soltanto a uso descrittivo, l’opera ha in sé il fascino della modernità e ancora oggi è ricca di significato. Un romanzo bifocale che da una parte ci mostra il lato romantico dell’età vittoriana – che rivive nelle incantevoli e dettagliate descrizioni degli ambienti aristocratici, nel linguaggio altisonante e nel vigore dei sentimenti al culmine della loro intensità, trasportandoci in una dimensione lontana dal tempo – e dall’altra ci dà la capacità di osservare, con occhio critico e disincantato, l’impegno con cui si ottengono i più alti risultati, gettando le basi per una vita piena e un futuro con larghe possibilità.

Voto: cinque!
lettereecolori

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