Recensione – Il paradiso delle signore – Émile Zola

Salut Etoile! Oggi vi parlo di un romanzo che, secondo me, starebbe bene fra i classici della letteratura più famosi: “Il Paradiso delle Signore” di Émile Zola. Alcune di voi avranno seguito in tv, qualche anno fa, l’omonima fiction rai  con Zeno e la Buscemi… ebbene sì, era ispirata proprio a quest’opera, Parigi diventa Milano, l’Ottocento diventa metà Novecento e Mouret diventa Mori, con una grossa differenza: nella fiction viene dato molto più spazio alla storia d’amore. “Au Bonheur des Dames” (questo il titolo originale) è uno dei primi grandi magazzini parigini, potremmo dire l’antesignano dei moderni centri commerciali, che si impone sulla capitale francese conquistando gli avventori e distruggendo i piccoli commercianti e artigiani.

Scheda Tecnica

  • Titolo: Il paradiso delle signore
  • Autore: Émile Zola
  • Editore: ‎Mondadori
  • Collana: Oscar Classici
  • Data Pubblicità: 14 febbraio 2017
  • Genere: Classici
  • Copertina flessibile:‎ 518 pagine
  • Cartaceo: 10,45 euro
  • Ebook: 2,99 euro

Trama

Due trame si intrecciano in questo «poema dell’attività moderna»: l’inarrestabile ascesa dell’imprenditore Octave Mouret grazie al successo commerciale del suo grande magazzino di stoffe “Il Paradiso delle Signore” (“Au Bonheur des Dames”); e la delicata vicenda della giovane Denise, umile commessa che grazie alla sua fermezza riuscirà a conquistare il datore di lavoro. “Il Paradiso delle Signore”, epopea del capitalismo commerciale e profetica raffigurazione del consumismo, è uno dei romanzi più belli e moderni del XIX secolo per la sensualità con cui descrive il fascino conturbante delle merci, ma anche la loro dispotica, alienante disumanità. Introduzione di Pierluigi Pellini.

Recensione

All’interno dell’opera si intrecciano tre storie che corrono in parallelo: la disperazione dei bottegai come lo zio di Denise, la protagonista, che giorno dopo giorno vede la sua attività, e la sua famiglia, morire lentamente; il capitalismo che impone le sue leggi, facendo arricchire sempre di piu i grandi imprenditori e penalizzando i piccoli commercianti e, infine, la storia d’amore fra Denise e Mouret che diventa centrale solo intorno alle ultime 150 pagine circa. Entriamo nel vivo: non è un libro leggero,  quindi vi sconsiglio di portarvelo sotto l’ombrellone, è un trattato economico, uno spaccato sociale della Parigi ottocentesca. Io l’ho amato anche se, a volte, ho dovuto prendermi delle pause, non leggendolo per qualche giorno. I capitoli sono molto lunghi (30 – 40 pagine), ricchi di informazioni, di descrizioni, di riflessioni e poveri di dialogo. È uno stile lontano da quello al quale ci hanno abituato i romanzi del XX e del XXI secolo ma, a mio parere, è uno dei più belli dell’800. Questo libro non si limita a raccontare una storia, Zola insegna, ci apre gli occhi, ci fa conoscere diverse personalità in contrasto fra loro, non esistono veri buoni e cattivi, sono tutti vittime del fato, della storia, del progresso e, in certi casi, della propria ostinazione. Mouret e ostinato a vincere, a guadagnare sempre di più, Denise è ostinata a non lasciarsi andare, il vecchio Bourras, con la sua bottega di ombrelli, si ostina a non mollare la presa su quei pochi metri malandati che gli restano, rinunciando ad un ottimo affare per mero principio, per nostalgia, per disperazione. È l’epopea del capitalismo commerciale, anticipa quelli che saranno i danni del consumismo, la scrittura di Zola non la si può recensire ma solo ammirare.

“L’architetto, che era, per caso, un giovane intelligente appassionato alle nuove idee, si era servito della pietra solo per i sotterranei, e i piloni d’angolo e aveva costruito tutta la struttura portante in ferro […] Era la cattedrale del commercio moderno, solida e leggera eretta per il popolo delle clienti. Nella galleria centrale del pianterreno, dopo le occasioni esposte all’ingresso si trovavano le cravatte, i guanti e le sete; la galleria Monsigny era occupata dalla biancheria e dalle stoffe di Rouen e la galleria Michodière dalla merceria, dalla maglieria e dai tessuti di panno e di lana. […] Il numero dei reparti era salito a trentanove e si contavano milleottocento impiegati di cui duecento donne. Era un mondo in espansione immerso nella vita rumorosa delle alte navate metalliche”.

Ogni descrizione è magica, vi sembrerà di camminare nel Bonheur des Dames, di assaggiare i pasti rancidi della mensa dei commessi, di toccare le stoffe esposte… è tutto vivo e vivido e, in certi casi, fa paura. Fa paura questo immenso mondo fatto di luci e di ombre, fa paura vedere le commesse vestite di seta imitare gli atteggiamenti delle ricche clienti, per poi trascinarsi a tarda notte in branda, in una stanzetta gelida, con i piedi sanguinanti a causa dei turni massacranti, affamate, sole e che, per arrotondare, spesso si concedono a qualche amante benestante. 

“I Baudu non erano cattivi ma si lamentavano di non aver mai avuto la fortuna dalla loro. Ai tempi in cui la bottega andava bene, avevano dovuto tirar su cinque figli maschi, tre dei quali erano morti a vent’anni; il quarto aveva preso una brutta strada e l’ultimo si era imbarcato da poco per il Messico come capitano.”

Zola non critica, è un narratore esterno e neutrale che, semplicemente, ci espone la realtà così com’è, compito del lettore farsi una sua idea sulle varie situazioni.

“Mouret aveva una sola passione, vincere la donna. Voleva farla sentire una regina nel suo negozio e le aveva costruito quel tempio per ridurla in suo potere”.

Il Bonheur è un paradiso artificiale, costruito da un uomo scaltro per sua soddisfazione personale, mai stato realmente innamorato,  Mouret vede nella donna un mezzo per raggiungere ricchezza, fama, potere e così coccola tutte le sue clienti, le inebria di attenzioni, come un pifferaio magico le attira nella sua luccicante trappola. 

“Intorno ai banconi si svolgevano duelli all’ultimo sangue, donna contro donna, in una spietata competizione  tra denaro e bellezza. Da una parte c’era l’astiosa gelosia delle commesse per le clienti eleganti, le signore che tutte si sforzavano di imitare nei modi, dall’altra, la gelosia anche più feroce delle clienti dimesse, le piccolo-borghesi, per quelle ragazze vestite di seta da cui pretendevano un’umiltà da serva per un acquisto da dieci soldi”. 

Zola ci mostra anche l’altra faccia del Bonheur, le misere stanzette, la mensa squallida, gli sgambetti fra commessi, le prepotenze delle clienti, insomma, tutto è svelato, un po’ come un numero di magia e i trucchi del dietro le quinte. 

“-Spremete pure la donna, sfruttatela come una miniera di carbone, poi ci pensa lei a sfruttarvi e a farvi ributtare fuori tutto quanto!… State attento, perché vi succhierà più sangue e denaro di quanto gliene avrete spillato voi.-“

Cosa accadrà al caro Mouret? Vincerà sempre la donna o, alla fine, la donna vincerà lui? Tutta questa grande sfida, tutto questo resoconto storico e sociale che io ho trovato illuminante, gira proprio attorno alla rivalsa delle donne sfruttate che in Denise troveranno la loro paladina di giustizia. 

È un romanzo che consiglio a tutti, anche se non è una lettura facile, lo consiglio perché leggere non dev’essere semplice, dev’essere anche entusiasmante, istruttivo, deve aprirci la mente, deve farci disperare e, allo stesso tempo, sgranare gli occhi, deve farci esclamare “non posso crederci”, deve farci emozionare di fronte non solo ai concetti che espone ma anche di fronte allo stile in cui sono esposti. Forse l’unica cosa che mi ha lasciato con l’amaro in bocca è stato il finale, ebbene…non me ne voglia Zola ma, dopo 500 pagine di tensione, aspettativa, descrizioni chilometriche (sebbene splendide) di sete, mantelli, architetture, di montagne d’oro e montagne di fango, di gioia e dolore, di lusso e lutto, di ricchezza e povertà… io volevo non dico un capitolo, ma tre o quattro pagine tutte dedicate a Mouret e Denise sì, questo sì! Invece il tutto si risolve in qualche riga, in poche parole e… non è nemmeno una vera soluzione. Nonostante questa piccola delusione, per me “Il Paradiso delle Signore” è stata una bellissima avventura che mi ha permesso di comprendere, in maniera ancora più approfondita, il nostro presente, la nostra condizione attuale, la nostra schiavitù, spero possa essere  “un’ascia per rompere il mare di ghiaccio che è dentro di noi”, come Kafka, una volta, definì i libri. 

@raffaella_iannecebonora_author

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