Recensione – Novecento – Alessandro Baricco

“Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia, e qualcuno a cui raccontarla”.

Salut Etoile! Parlare di “Novecento – un monologo” di Alessandro Baricco, che conta appena 64 pagine è davvero difficile, perché il 64 pagine Baricco riesce a racchiudere un mondo grande quanto l’oceano, esattamente come il protagonista che estrae l’infinito dagli 88 tasti del pianoforte.

Scheda Tecnica

  • Titolo: Novecento
  • Sottotitolo: Un monologo
  • Autore: Alessandro Baricco
  • Editore: ‎Feltrinelli Traveller
  • Data pubblicazione: 27 dicembre 2012
  • Genere: Narrativa di genere
  • Copertina flessibile: ‎64 pagine
  • Cartaceo: 7,00 euro

Trama

Il Virginian era un piroscafo. Negli anni tra le due guerre faceva la spola tra Europa e America, con il suo carico di miliardari, di emigranti e di gente qualsiasi. Dicono che sul Virginian si esibisse ogni sera un pianista straordinario, dalla tecnica strabiliante, capace di suonare una musica mai sentita prima, meravigliosa. Dicono che la sua storia fosse pazzesca, che fosse nato su quella nave e che da lì non fosse mai sceso. Dicono che nessuno sapesse il perché. Questo racconto, nato come monologo teatrale, è uscito per la prima volta nel 1994. Nel 1998 Giuseppe Tornatore ne ha tratto il film “La leggenda del pianista sull’oceano”.

Recensione

Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi suonare. Loro sono 88. Tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu, ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi, milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai, e questa è la verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita. Se quella tastiera è infinita, allora. Su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare. Tu sei seduto sul seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio.

Partiamo da un presupposto, come riportato in copertina questo non è un romanzo ma un monologo di un atto unico. Fu pubblicato per la prima volta nel 1994 dalla Feltrinelli e fu scritto per essere interpretato da Eugenio Allegri con la regia di Gabriele Vecias e infatti ne fu fatto uno spettacolo. Baricco di quest’opera disse che era una via di mezzo tra “una vera messa in scena e un racconto da leggere ad alta voce”. La voce narrante è quella di Tim Tooney, ex trombettista che aveva lavorato a bordo del transatlantico Virginian, lì aveva conosciuto uno strambo personaggio: Danny Boodman T.D. Lemon Novecento. Questo ragazzo era stato abbandonato, neonato, sul pianoforte della prima classe, all’interno di una cassa di limoni e trovato dal macchinista Danny Boodman il 1 gennaio 1900, che decide di tenerlo e crescerlo come suo, convinto che quel T.D. sulla cassetta (T.D.Lemon) stesse per Thanks Danny. Da ciò deriva il suo strano nome…

A quel bambino incominciò a dare il suo, di nome: Danny Boodmann. […] Poi ci aggiunse T.D. Lemon, proprio uguale alla scritta che c’era sulla scatola di cartone, […] e così venne fuori Danny Boodmann T.D. Lemon. […]. “Un bel nome,” disse alla fine il vecchio Boodmann, “però gli manca qualcosa. Gli manca un gran finale.” Era vero. Gli mancava un gran finale. “Aggiungiamo martedì,” disse Sam Stull, che faceva il cameriere. “L’hai trovato martedì, chiamalo martedì.” Danny ci pensò un po’. Poi sorrise. “È un’idea buona, Sam. L’ho trovato nel primo anno di questo nuovo, fottutissimo secolo, no? lo chiamerò Novecento.”

Come potete vedere lo stile utilizzato da Baricco è molto… molto jazz, come il genere musicale protagonista di questa storia. Baricco ha avuto la capacità di tradurre la musica in testo, e non parlo dei versi di una canzone, no, parlo dell’anima di quella musica, delle emozioni che suscita, del modo che ha di narrare… Novecento è un libro jazz in tutto e per tutto. È una cosa unica al mondo, è come scrivere un libro che conservi in sé il profumo del mare (e beh… Baricco lo ha fatto con Oceano Mare ma questa è un’altra storia) o il sapore della torta che vi preparava vostra nonna. È magia.

Mi misi a suonare. Lui se ne stette lì a fissarmi senza muovere un muscolo. Aspettò che finissi, senza dire una parola. Poi mi chiese:
“Cos’era?”.
“Non lo so.”
Gli si illuminarono gli occhi.
“Quando non sai cos’è, allora è jazz.”
Poi fece una cosa strana con la bocca, forse era un sorriso, aveva un dente d’oro proprio qui, così in centro che sembrava l’avesse messo in vetrina per venderlo.
“Ci vanno matti, per quella musica, lassù.”

Una magia che dal libro è passata al grande schermo grazie ad un altro artista geniale: Giuseppe Tornatore. Nel 1998 esce al cinema La leggenda del pianista sull’oceano, pensate che quando Tornatore inviò la sceneggiatura a Baricco, l’autore non ebbe nulla da dire, la trovò perfetta: un caso più unico che raro. Questo libro, e questo film, colpirono talmente tanto il pubblico che Eduardo Bennato gli dedicò la canzone “Viaggio sul mare” e, addirittura, esiste un numero di Topolino ad esso dedicato. Effettivamente è una storia davvero singolare, narrata in maniera singolare, una storia delicata, sognante ma, allo stesso tempo forte, strong, decisa.

Non credo che ci sia bisogno di spiegarvi come questa nave sia, in molti sensi, una nave straordinaria e in definitiva unica. Al comando del capitano Smith, noto claustrofobo e uomo di grande saggezza (avrete certo notato che vive in una scialuppa di salvataggio), lavora per voi uno staff praticamente unico di professionisti assolutamente fuori dall’ordinario: Paul Siezinskj, timoniere, ex sacerdote polacco, sensitivo, pranoterapeuta, purtroppo cieco… Bill Joung, marconista, grande giocatore di scacchi, mancino, balbuziente… il medico di bordo, dott. Klausermanspitzwegensdorfentag, aveste urgenza di chiamarlo siete fregati…

Novecento, il protagonista, è l’archetipo di tutte quelle persone bloccate, ferme, che vivono la loro vita ma non la vivono davvero, che corrono, si affannano senza mai muoversi, che hanno paura di uscire dalla loro comfort zone, che hanno tanto da offrire al mondo ma non vogliono offrirlo, preferiscono restare nel loro nido, al sicuro e costruirsi lì la propria felicità.

Aveva otto anni e si era già fatto avanti e indietro dall’Europa all’America una cinquantina di volte. L’Oceano era casa sua. E quanto alla terra, be’, non ci aveva mai messo piede. L’aveva vista, dai porti, certo. Ma sceso, mai.

A tratti, specialmente all’inizio, la storia potrebbe sembrarvi illogica ma la narrazione è fluida, cattura il lettore, bisogna solo entrare nel mood, trovare il ritmo, proprio come con la musica. Ovviamente non dimenticate mai che parliamo di un monologo (sì, lo so che l’ho già detto), quindi non aspettatevi i meccanismi classici della novella o del romanzo. Baricco usa il Virginian e i suoi protagonisti per descrivere l’intero mondo, a bordo della nave troviamo un esempio per ogni genere umano, una sorta di enciclopedia sociale. Personalmente Baricco mi piace tanto e questo è uno dei miei libri preferiti in assoluto (idem per il film), ho subito empatizzato con tutti i personaggi. Leggere questa storia è come danzare con l’oceano, esattamente quello che accade in una delle scene clou della pellicola.

Suonavamo perché l’Oceano è grande, e fa paura, suonavamo perché la gente non sentisse passare il tempo, e si dimenticasse dov’era e chi era. Suonavamo per farli ballare, perché se balli non puoi morire, e ti senti Dio. E suonavamo il ragtime, perché è la musica su cui Dio balla, quando nessuno lo vede. Su cui Dio ballava, se solo era negro.

@raffaella_iannecebonora_author

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